Venerdi 9 ottobre e’ un giorno importante per il Venezuela: disputera’ nel pomeriggio allo Stadio Cachamay di Puerto Ordaz la partita di calcio contro il Paraguay per le qualifiche ai mondiali 2018. E la città e’ gremita di tifosi che nelle loro maglie “vino tinto” colorano le vie. Anche noi siamo coinvolti da tanto calore che assistiamo alla partita dai mega schermi del Club Italo Venezuelano in compagnia di simpatici sostenitori del “vino tinto”. Peccato che agli ultimi minuti il Paraguay si aggiudica la vittoria con un risultato di 1 a 0.
Sabato 10 ottobre approfittiamo della giornata libera per un ‘escursione in battello sul Rio Caroni per apprezzare Puerto Ordaz da una prospettiva diversa.
Le sponde verdi del rio contornano la citta’ sullo sfondo, la diga e l’industria siderurgica, una delle attivita’ principali del luogo, assieme all’estrazione di bauxite.
Le sponde verdi del rio contornano la citta’ sullo sfondo, la diga e l’industria siderurgica, una delle attivita’ principali del luogo, assieme all’estrazione di bauxite.
Procediamo lenti, sino all’incontro marcato delle acque scure del fiume Caroni con quelle marroni dell’Orinoco, il maggior fiume del Venezuela, che nasce nelle montagne Parima per sfociare a delta nell’Atlantico. E’ incredibile notare come le acque non riescano a mescolarsi perché di densità differente .
Scorgiamo il Parque Cachamay e il Parque Llovizna sino ad arrivare alle cascate del rio, maggior spettacolo del tour, sotto le quali ci spetta una rinfrescante doccia sul battello che sfida le acque agitate del salto. Di lì a poco, il bagno nelle acque del Rio Caroni.
L’indomani partiamo mattinieri per la Cueva del Guacharo, altro sito d’interesse sulle montagne venezuelane. Ci attendono circa 250 km di strada. I primi 50, i locali ci dicono di attraversarli senza sosta perché poco raccomandabile: e’ “los pinos”, terra assolata e apparentemente deserta, dove a farla da padrone è la quantità di pini che ricopre questa zona. Capiamo che ce la siamo lasciata alle spalle dal cambio netto della vegetazione: ritorna preponderante quella tropicale con palme , banani e manghi. Passiamo per Maturin e ci impressiona la coda di gente davanti ai supermercati: il parcheggio e’ affollato non da macchine, ma da persone che con tanta pazienza e rassegnazione aspetta il proprio turno per procurarsi il cibo.
Poi iniziamo a salire e la strada si inerpica attraversando villaggi da case coloratissime come i fiori che le circondano.
Arriviamo finalmente a destinazione con un po’ di adrenalina in corpo da smaltire dopo lo sbandamento del Narci su una discesa in curva, sotto la pioggia.
Ci dicono che i camion che trasportano canna da zucchero perdono inevitabilmente della melassa che a contatto con l’acqua crea una patina scivolosa sull’asfalto.
Sono le prime ore del pomeriggio e abbiamo il tempo necessario per visitare la Cueva del Guacharo, una grotta risalente al Cretaceo che al suo interno ospita, oltre a numerossime specie animali, una colonia di guachari, uccelli monogami di notevoli dimensioni, pressoché ciechi , che al buio della grotta vivono nelle ore diurne e da cui escono solamente al calar del sole . La luce potrebbe bruciarne la pupilla altamente sensibile provocandone morte certa per schianto contro rocce o alberi. Entriamo nella completa oscurità, solo il fascio discreto della torcia della guida illumina il percorso e le secolari stalattiti e stalagmiti dalle forme più svariate. Il verso assordante dei guachari che volano sopra le nostre teste echeggia per tutta la grotta e si fatica a sentire la spiegazione della guida che ci accompagna sino ai primi 800 metri della cueva, profonda oltre 10 km, perché l’ora è tarda e bisogna uscire. Di lì a poco, usciranno anche i guachari per procurarsi bacche e frutta che la foresta offre loro, nell’oscurità più totale.
Poi iniziamo a salire e la strada si inerpica attraversando villaggi da case coloratissime come i fiori che le circondano.
Arriviamo finalmente a destinazione con un po’ di adrenalina in corpo da smaltire dopo lo sbandamento del Narci su una discesa in curva, sotto la pioggia.
Ci dicono che i camion che trasportano canna da zucchero perdono inevitabilmente della melassa che a contatto con l’acqua crea una patina scivolosa sull’asfalto.
Sono le prime ore del pomeriggio e abbiamo il tempo necessario per visitare la Cueva del Guacharo, una grotta risalente al Cretaceo che al suo interno ospita, oltre a numerossime specie animali, una colonia di guachari, uccelli monogami di notevoli dimensioni, pressoché ciechi , che al buio della grotta vivono nelle ore diurne e da cui escono solamente al calar del sole . La luce potrebbe bruciarne la pupilla altamente sensibile provocandone morte certa per schianto contro rocce o alberi. Entriamo nella completa oscurità, solo il fascio discreto della torcia della guida illumina il percorso e le secolari stalattiti e stalagmiti dalle forme più svariate. Il verso assordante dei guachari che volano sopra le nostre teste echeggia per tutta la grotta e si fatica a sentire la spiegazione della guida che ci accompagna sino ai primi 800 metri della cueva, profonda oltre 10 km, perché l’ora è tarda e bisogna uscire. Di lì a poco, usciranno anche i guachari per procurarsi bacche e frutta che la foresta offre loro, nell’oscurità più totale.