Sabato 16 aprile lasciamo Flagstaff per dirigerci verso il Gran Canyon. La strada attraversa vaste foreste di alti pini imbiancati dalla neve della notte scorsa.
Più tardi, ampie vallate si estendono ai lati della carreggiata ricoperte di sola erba dorata e bassi cespugli. All’orizzonte, lande sconfinate e inabitate.
Poi, ci ritroviamo attorniati da folte foreste, quando entriamo nel Gran Canyon National Park che si estende per quasi 5000 kmq nello Stato dell’Arizona. Marciamo su di una via lambita da contorti ginepri dello Utah, pini “pignoni” , arbusti profumati, cactus bassi ed insidiosi, che nulla trapelano di ciò che di lì a poco si aprirà ai nostri occhi. Giriamo lo sguardo e tratteniamo il respiro e a stento le lacrime, alla vista del mitico
Gran Canyon, una profonda gola creata dal fiume Colorado che da milioni di anni erode costantemente le rocce sedimentarie dell’altopiano in combinazione a diversi processi geologici avvenuti, si stima, 2 miliardi di anni fa. È immenso e profondo, un salto di più di 1500 metri nel vuoto, tra pareti a strapiombo, tagli e spaccature,
tra rocce plasmate dall’acqua e dal vento che sferza forte e deciso. Arido, aspro e deserto, selvaggio e autentico. Nel fondo, serpeggia il Colorado con le sue acque smeraldo tormentate dalle rapide. Ci affacciamo da ogni punto panoramico suggerito dal percorso.
Lo ammiriamo da ogni prospettiva, camminiamo per più di 10 km sul sentiero sull’orlo del precipizio, osservati da cervi ed alci,
sino a che le ombre si allungano e gli ultimi raggi del sole riscaldano ed accendono i colori del Gran Canyon, imponente , maestoso ed emozionante difronte a noi.
Rimaniamo in equilibrio su spuntoni rocciosi in bilico tra terra e aria per ricaricarci dell’energia che sprigiona questo sito ancestrale, provando strane sensazioni e forti emozioni: …la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare…………..