È fine luglio e le terre selvagge d’Alaska ci tratterranno ancora per i prossimi giorni. Protagonisti i paesaggi montani, incorniciati dalle impervie catene che all’orizzonte confondono le nevi perenni delle loro vette con le nuvole del cielo. Ed i prati che anticipano la boscaglia, ci offrono gustosi ed abbondanti mirtilli selvatici che noi, come gli orsi, non tardiamo a raccogliere. Sulla tundra sconfinata sgomitola a perdita d’occhio il lunghissimo oleodotto, l’Alaska Pipeline, sul cui punto più meridionale sorge Valdez, pittoresca cittadina sullo Stretto di Prince William ed importante porto del Paese. È da lì che, dopo un paio di giorni piovosi ed annebbiati, partiamo con la Lulu Belle Cruise per raggiungere il magnifico Columbia Glacier, al largo della baia.
Il sole del 3 agosto è ancora coperto da una fitta foschia che non permette di distinguere l’acqua dal cielo ed il battello solca le fredde acque del golfo tracciando una rotta solo ad esso conosciuta. E quando la speranza sembra venir meno, la cortina di nebbia si ritira come un sipario che si apre e ci permette di assistere ad uno spettacolo che supera l’immaginazione sino a prima snocciolata: il fiordo è fiancheggiato da lussureggianti versanti montuosi che affondano le nude e ruvide rocce nelle acque azzurre, tra le cui fenditure si accovacciano buffi ‘puffin’ .
Giovani orche seguono, affiorando e scomparendo, la scia della barca e le lontre marine galleggiano supine a pelo d’acqua, pigre e sonnecchiose.
Viriamo ad est , superando degli isolotti ed entrando in un altro fiordo. L’aria inizia a raffreddarsi e i primi iceberg preannunciano la vicinanza al ghiacciaio che in lontananza scorgiamo scendere a picco sul mare, dove termina la sua lunga corsa dopo 51 chilometri dalle Chugach Mountains , coprendo una superficie di 1000 kmq, con uno spessore di 500 metri. È in continuo e rapido ritiro e lo testimoniano i numerosissimi blocchi di ghiaccio che si staccano fragorosi e costanti dal suo maestoso fronte e che galleggiano alla deriva su un mare immobile, grigio perla, quasi lattiginoso.
 Le sfumature turchesi sono intrappolate tra le fenditure dei ghiacci e attraverso le forme più fantasiose degli iceberg che scricchiolano al leggero movimento suscitato dal nostro passaggio, lento e sinuoso.
 Il battello schiva con destrezza spumiglie di ghiaccio e zattere congelate su cui si sollazzano gruppi di foche per avvicinarsi il più possibile al Columbia Glacier da cui soffia con energia una brezza gelida che il sole non riesce a contrastare. Poco più in là,  anche un altro ghiacciaio minore si tuffa in mare e le masse di sedimenti scure trasportate dallo stesso sporcano la superficie algida del ghiacciaio.
Ci allontaniamo dalla morsa del freddo e del ghiaccio per ritornare in acque più rilassate, benché sempre rigide, del Prince William Sound. I pescherecci, a quest’ora della sera, attendono di sollevare le reti colme di pesce. Lo spruzzo di una balena rompe il silenzio della baia e dopo una fugace apparizione, inarca la schiena corvina e scompare tra le acque profonde del golfo.

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